Harry Potter, cosa significa fare una maratona dei film a distanza di 20 anni

Rivedere oggi tutti i capitoli significa riscoprire la meraviglia (ma anche i limiti) di una saga che ha “salvato” una generazione
Cosa significa rivedere oggi tutti i film di Harry Potter
warner bros.

Otto film in otto giorni: complici gli isolamenti di queste settimane festive decimate da Omicron, nell'ultima settimana ho rivisto tutti i film di Harry Potter uno dietro l'altro. L'esperienza è del resto abbastanza comune dato che Mediaset aveva già replicato tutte le pellicole tratte dai libri di J.K. Rowling nel pieno del primo lockdown su Canale 5 (con ascolti notevolissimi) e ora stanno riproponendo l'esperimento su Italia 1. Ma per evitare le dosi massicce di pubblicità ogni cinque minuti, la mia maratona si è svolta su Amazon Prime Video, che in questi mesi ha in catalogo tutta la saga, che si può seguire anche sul canale dedicato di Sky Cinema fino al 16 gennaio.

Ecco, mai come in queste settimane le avventure del maghetto erano state così “disponibili” sulle varie piattaforme ma ovviamente la curiosità è stata riaccesa soprattutto dalla recente reunion Return to Hogwarts che, a distanza di vent'anni ha riunito i principali attori del cast, oltre a fornire alcuni succosi dietro le quinte e mostrare ampi spezzoni dei momenti più significativi della serie filmica. Come abbiamo già avuto modo di dire, quello speciale televisivo è stata un'operazione nostalgica in tutto e per tutto, con i suoi pregi e difetti, ma anche avuto il merito di ribadire la centralità emotiva e culturale, almeno per un paio di generazioni, che Harry Potter ha rappresentato negli ultimi decenni.

Rivedendo gli otto capitoli uno dietro l'altro, in lingua originale e sicuramente con una consapevolezza maggiore di quelli che sono i meccanismi narrativi e cinematografici di questi adattamenti, l'effetto è a dir poco straniante. Si notano per esempio delle cesure fondamentali che forse prima erano diluite dalle uscite in sala scadenzate: i primi due film, La pietra filosofale e La camera dei segreti, entrambi diretti da Chris Columbus, sembrano quasi componenti di una saga a parte, molto più infantile, luminosa e sognante di quanto non capiti in seguito, quando prendono il sopravvento registi e toni molto più dark; ma anche all'interno di questa seconda fase, ci sono disomogeneità evidenti, tanto che gli ultimi due capitoli, I doni della morte. Parte 1 e Parte 2, pur girati assieme, sembrano due film diversissimi (uno un road movie introspettivo che risente di Jane Campion - si sente addirittura Nick Cave! - e l'altro un'epica fantasy di grandissima scala).

Una visione più matura e consapevole fa notare altri limiti strutturali, soprattutto se si fa un confronto serrato con i volumi letterari più sostanziosi: le sceneggiature de Il calice di fuoco, Il principe mezzosangue o appunto I doni della morte. Parte 1 sono frutto di una sfrondatura estrema della controparte romanzesca e sono costruiti come una successione serrata di scene che si accumulano una sopra l'altra con forse il rischio di confondere gli spettatori meno esperti. Di sicuro è palese che esistono due livelli di lettura per questi film, uno per chi si gode la semplice avventura fantasy e uno per chi ha letto i libri (o si informa sul web). I primi, per esempio, forse si perdono le ricadute del gruppo formato in passato da James Potter, Sirius Black e compagni; non capiscono quanto siano importante le forme animali assunte dai Patronus; fanno fatica a cogliere la drammatica storia familiare di Silente; non colgono i vari momenti in cui l'atteggiamento di Piton è volutamente e forzatamente ambiguo (e anche le scelte che sono solo dello schermo, come quando Piton deflette e non risponde ai colpi di McGrannit nell'ultimo capitolo, vengono colti solo da visioni multiple e da occhi smaliziati).

Al di là di queste complessità forse necessarie quando si adatta una saga così imponente, quello di Harry Potter rimane un franchise filmico a dir poco inarrivabile, a maggior ragione perché ancora lontano da quel gigantismo commerciale dell'universo Marvel e ancora radicato a una fase narrativa che fa da ponte con un'infanzia mai del tutto rinnegata. Qui va fatto un doveroso omaggio all'immaginazione inesausta di Rowling che, lo si nota benissimo infilando una dietro l'altra le trasposizioni dei suoi libri, ha messo a punto un meccanismo non solo coerente in ogni suo piccolo dettaglio ma anche popolato di infinite trovate magiche, quasi tutte originalissime e funzionali a un racconto più ampio: non è un caso che lo Spegnino di Silente appaia nelle primissime scene così come nel penultimo film, che il Platano picchiatore passi dall'essere un espediente comico ne La camera dei segreti a un nodo narrativo fondamentale ne Il prigioniero di Azkaban, che il Mantello dell'invisibilità si riveli essere qualcosa di molto più arcano e importante negli ultimi capitoli…

Certo, anche la scrittura di Rowling non era priva di assurdità, di alcuni momenti circonvoluti, di ingenuità gratuite (le ragazzine a parte Hermione e la stravagante Luna sono quasi tutte civettuole, l'unico personaggio asiatico si chiama stereotipicamente Cho Chang e alcune polemiche sono nate dalla rappresentazione dei goblin della Gringott ). Ma è il senso di meraviglia spesso e volentieri a prevalere: l'invenzione degli Horcrux, il complesso sistema del Quidditch, le trovate alla Piertotum Locomotor, il Pensatoio… tutta la saga filmica è un tributo a una creatività senza limiti ma anche a un'industria cinematografica che, proprio in quel decennio, ha fatto passi da giganti sul fronte degli effetti speciali (nei primissimi film è chiarissimo quando i registi siano costretti a espedienti di distrazione pur di non ammettere l'impossibilità di certe rese magiche spettacolari). È indubbia la spinta che Harry Potter ha dato a tutto il settore filmico e televisivo sul fronte del fantasy, tanto che potremmo dire che senza questo successo planetario difficilmente avremmo avuto così tante trasposizioni letterarie successive e, per dire, non ci sarebbe stato neanche nessun Game of Thrones.

Il cast è sicuramente un altro degli aspetti di questa saga che colpisce. Con gli occhi di oggi la scelta di Rowling, imposta alla Warner Bros. ma ben accetta anche al primo regista Columbus, di scritturare solo attori britannici (o al massimo irlandesi) ha avuto ulteriori conseguenze soprattutto sul fronte seriale. Non c'è interprete del Regno Unito, da Maggie Smith a Jason Isaacs, da David Thewlis a David Tennant, da Imelda Staunton a Helena Bonam Carter, che non abbia confermato e ampliato il suo prestigio internazionale, comparendo in numerosi progetti a tutt'oggi, da Downton Abbey a The Crown, passando per Broadchurch e Landscapers. Alcuni di loro, come il compianto Alan Rickman, hanno avuto qui la possibilità di donare al pubblico performance indimenticabili e, purtroppo, definitive (difficile trattenersi quando pronuncia una singola parola: “Sempre”). Persino i tre giovani protagonisti (Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint), pur avendo avuto in seguito carriere altalenanti, dimostrano dal primo all'ottavo capitolo una crescita attoriale senza dubbio consistente.

Una visione adulta di tutto Harry Potter, poi, aiuta a scendere ancora più in profondità in quelle che sono le tematiche ultime di una storia come questa, che in fondo è una celebrazione degli emarginati e dei diversi, di chi crede nel potere delle favole e della giustizia, e sopratutto della parola (“Le parole sono la nostra massima e inesauribile fonte di magia”, dice il sempre saggio Silente), in opposizione a un mondo - lo si vede chiaramente negli ultimi film - che vorrebbe tornare alla discriminazione e a una supremazia di impostazione nazista. Se questo è il messaggio ultimo della saga, ciò rende ancora più assurdo l'elefante nella stanza presente ogni volta che si parli delle invenzioni di Rowling, oggi divenuta un po' il simbolo di un odio costruito tramite frecciatine e polemiche web

Ma come si pongono i tweet transfobici della Rowling rispetto alla sua eredità fantasy? La questione è annosa, ma rivedere tutti questi film (e chissà, a maggior ragione rileggendo i libri) testimonia sicuramente una cosa: una generazione di ragazzini sono cresciuti sapendo che esisteva un castello fatato come quello di Hogwarts in cui rifugiarsi, nonostante la propria stramberia, la propria diversità, la propria sfortuna. Ritornando oggi su tutto ciò con occhi meno accondiscendenti, e vedendone dunque anche i limiti più consistenti, lascia comunque intatta la fortuna di aver vissuto un sogno che ha aiutato a crescer e scaldato tanti cuori, “un ricordo potente, il più felice che ricordate”.